Concordia, un reality a cielo aperto. Da giorni ho spento la tv

foto di Mara Celani

Ho seguito con interesse e apprensione le notizie che, dopo il tragico naufragio, arrivavano dall’isola del Giglio. Come non pensare ai dispersi che potevano essere rimasti intrappolati in quella nave adagiata su un fianco e non sperare di ritrovarli ancora vivi? Come non immaginare i momenti drammatici e di disperazione vissuti da quelle migliaia di persone nel tentativo disperato di mettersi in salvo?

Da qualche giorno però ho spento la Tv.  L’informazione si è trasformata in talk show da intrattenimento, la notizia in gossip.  Gli studi televisivi sono diventati tribunali militari in cui ogni personaggio coinvolto nella faccenda è processato in diretta. O forse sono più simili a tribunali ecclesiastici ora dediti all’Inquisizione in una fantomatica caccia alle streghe ora a processi di canonizzazione pronti ad elevare sugli altari chiunque avesse fatto il proprio dovere o un atto di generosità.

Non mi piace questa televisione in cui ciascuno si erge a giudice dell’altro. Il singolo può giudicare tutti e tutti possono sottoporlo a giudizio. E’ la logica perversa di certe trasmissioni  dove chiunque fra il pubblico può sancire ciò che è bene e ciò che è male in base a criteri di valutazione del tutto soggettivi; è la solleticante curiosità dei reality dove ogni comportamento è scannerizzato, ogni sentimento vivisezionato e sottoposto alla lente di ingrandimento perché lo spettatore possa posarvi il proprio occhio e vedere l’immagine che vuole. Le analisi sono diverse, tante quanti sono i soggetti coinvolti e ciascuno presenta la sua opinione come oracolo, stralci di Bibbia sui quali è disposto a giurare. Chi non li condivide è anatema, chi la pensa diversamente è nemico da combattere e allora ecco accendersi il conflitto, la dialettica offensiva, l’invettiva demonizzante e con essi l’audience.

Ho spento la tv perché la Concordia (ironia del nome) è diventata un reality a cielo aperto.

Certo, è ovvio che se ci sia stato un errore le responsabilità vanno ricercate innanzi tutto in chi aveva il compito di guidare con perizia quella nave e non l’ha fatto, in chi avrebbe dovuto comunicare in tempo il pericolo e dare relative istruzioni ed invece ha tergiversato. Ma una volta detto questo che altro resta da aggiungere?

Da quasi due settimane non si fa altro che ripetere le stesse cose. Ore e ore di chiacchiere, di minuziose ricostruzioni, arricchite da nuove rivelazioni trapelate dalle indagini  per arrivare sempre  alle stesse conclusioni.  A che giova una simile informazione?  E’ come gettare fango su una pozzanghera per dimostrare alla gente quanto è zozza quando invece  l’unica cosa da fare è lasciar lavorare investigatori e magistratura perché dentro a tanta oscurità possano far chiarezza e solo allora mostrare a tutti la verità tutta intera.

Da subito conduttori, ospiti in studio, gente comune hanno puntato  il dito contro il capitano della nave e quando questo tiro a segno è diventato così banale da assomigliare a quello di certe pistole da bambini con il proiettile a ventosa allora giù a dare addosso ad ufficiali codardi e personale di bordo maldestri facendo di tutta l’erba un fascio dimenticando che sono naufraghi anch’essi. E’ vero: puntare i riflettori sul male fa aumentare gli ascolti e l’accendersi della discordia ancora di più. Ma siamo poi così sicuri che il bene, l’informazione pulita e persino il silenzio in certi casi non potrebbe riscuotere un successo superiore?